INTRODUZIONE
Le malformazioni vascolari rappresentano una patologia
complessa dal punto di vista morfologico ed emodinamico,
determinando frequentemente scelte di trattamento demolitive.
Nella mano, in particolare, coinvolgono strutture di
alto valore funzionale concentrate in poco spazio e
l’intervento chirurgico assume un preminente interesse
funzionale. Pertanto, come già affermato da Belov
e Loose, l'approcio più corretto è quello
multidisciplinare che sommi le competenze del chirurgo
vascolare esperto in angiodisplasie e del chirurgo della
mano.
Le Malformazioni Vascolari
Congenite sono più frequenti di quanto si pensi.
Rappresentano infatti l’1,2% delle malformazioni, circa
un terzo rispetto alla displasia dell’anca (3,4%), quattro
volte di più della labioschisi (0,4%) (Tasnadi,
1993).
Nonostante siano le forme più note, non esistono
soltanto le fistole arterovenose, infatti le forme venose
sono le più frequenti
LA NOSTRA ESPERIENZA
Da oltre 20 anni applichiamo un protocollo che prevede:
1. inquadramento diagnostico vascolare
2. valutazione funzionale della mano
3. programma chirurgico in uno o più tempi secondo
la complessità ed estensione della malformazione
1. Inquadramento diagnostico
vascolare
Una strategia diagnostica mirata e completa che permetta
un inquadramento morfologico ed emodinamico preciso
è premessa fondamentale per per una indicazione
chirurgica precisa. I dati che le indagini devono fornire
sono:
1. Tipo di malformazione (venosa, arterovenosa, mista,
arteriosa, linfatica)
2. Morfologia e sede della lesione (dimensione, estensione)
3. Dati emodinamici quantitativi e qualitativi (presenza
ed entità delle fistole)
4. Effetti secondari della malformazione, in altri termini,
effetti sui vari tessuti, cute, ossa, muscoli, nervi.
2. Valutazione funzionale della mano
Posta l’ndicazione operatoria si valuta con esame clinico
e radiologico il grado di interessamento delle diverse
strutture della mano (cute e ossa in particolare), la
presenza o meno di alterazioni della sensibilità
(anche in seguito a interventi precedenti), la mobilità
articolare ed i movimenti attivi, in particolare la
funzionalità degli intrinseci.
3. Programma chirurgico
In rapporto alla estensione della lesione,
alla complessità emodinamica e morfologica della
malformazione, al coinvolgimento delle varie strutture
e relative conseguenze funzionali, si programma l’intervento
chirurgico che segue alcuni principi di base comuni
alle angiodisplasie confrontati poi con le particolari
esigenze funzionali della mano.
Principi di trattamento delle angiodisplasie
Il
trattamento chirurgico delle angiodisplasie ha come
obiettivo la asportazione il più radicale possibile
della lesione vascolare nell'intento di limitare le
recidive e limitando l’incidenza di complicazioni. Nella
mano l’elemento qualificante è rappresentato
dal ripristino o la conservazione della funzione. La
radicalità dell'exeresi di una angiodisplasia,
in particolare per quanto riguarda le forme extratronculari,
non è sempre raggiungibile in un solo tempo chirurgico,
se non a rischio di sacrifici eccessivi. E' quindi opportuno
considerare la eventualità di più interventi,
nell'ottica di una radicalità di exeresi bilanciata
da una conservazione funzionale. La radicalità
deve essere valutata attentamente anche per i possibili
danni ischemici successivi alla difficoltosa emostasi
che si accompagna a questi interventi, specialmente
quando si tratta di malformazioni arterovenose emodinamicamente
attive. Nella mano in particolare questo può
comportare la perdita di interi segmenti, di uno o più
dita. Il danno può consistere anche nella perdita
funzionale di un dito, conseguente ad una lesione nervosa
o tendinea o cutanea tale da renderlo distrofico e dolente.
Questa condizione può essere al limite più
invalidante per la mano nel suo insieme rispetto alla
amputazione corretta di un raggio.
CONCLUSIONE
Il trattamento chirurgico delle angiodisplasie richiede
una particolare conoscenza delle caratteristiche emodinamiche
delle lesioni e si avvale di tecniche chirurgiche specifiche.
Nella mano, organo di senso proiettato nello spazio,
dove motilità e sensibilità sono interdipendenti,
richiede la massima attenzione da parte del chirurgo,
soprattutto perché questa patologia infiltra
i tessuti dalla cute all’osso, si sviluppa intorno ai
nervi, invade legamenti e muscoli, e ha perciò
importanti implicazioni funzionali.
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